La Fiera di San Vito

La festa grande del mese di giugno era caratterizzata, com’è tuttora, dalla fiera – mercato che si svolgeva nei pressi della chiesa di San Vito.

Data:
30 Luglio 2011

La Fiera di San Vito

La festa grande del mese di giugno era caratterizzata, com’è tuttora, dalla fiera – mercato che si svolgeva nei pressi della chiesa di San Vito. Inizialmente il 15 giugno insieme alla festa liturgica si organizzava un’importante fiera di animali.

In seguito, per la concomitanza di altre fiere in paesi non molto distanti come a Castri e a Carmiano in cui si venera San Vito, la fiera di Lequile fu spostata alla IV domenica di giugno. Fu infatti Ferdinando II di Borbone, re delle Due Sicilie (1830-1859), che volle dare ordine alle numerose fiere del suo Regno, specie nel Salente. Con decreto, conservato nell’archivio storico del Comune, emanato il 4 ottobre 1834 il Re stabilì che la fiera – mercato si svolgesse la 4a domenica di giugno.
Il vescovo Pappacoda, accogliendo l’ordine del re, stabilì che la festa religiosa e la fiera si svolgessero contemporaneamente.

La fiera richiedeva ogni anno una attenta organizzazione per far svolgere con regolarità ogni attività di mercato. Oltre all’affluire di molta gente dai paesi circostanti si conducevano animali da pascolo, da lavoro, da cortile che occupavano ampi spazi e campi nei dintorni della chiesa di San Vito. Numerosi artigiani dei paesi vicini si portavano a Largo San Vito ed esponevano su modeste bancarelle strumenti e attrezzi da lavoro, prodotti nelle loro botteghe.
Nei secoli scorsi la fiera durava otto giorni e tutto avveniva sotto la sorveglianza e l’autorità di un “maestro del mercato”. Questi veniva nominato dall’autorità regia che sceglieva tra una terna di nomi che venivano presentati dal Sindaco su mandato dell’Università di Lequile.1

Di compravendita in quei giorni ce n’era tanta. Ognuno cercava di fare i suoi interessi. Si vendevano vitellini e maialetti; pecore e agnelli o altri animali da cortile. Qualcuno si impegnava a comprare il cavallo o qualche buon aratro o traino. Gli zingari commerciavano comprando o vendendo animali da soma; e le zingare,dalle ampie vesti e con i capelli a trecce attoreigliati dietro la nuca, vendevano utensili per la cucina o per la campagna; non mancavano i mazzi di “acucieddhe”, aghi lunghi e affilati necessari per infilzare le foglie di tabacco ormai mature e da essiccare. Qualche anziana, seduta su una vecchia sedia in mezzo al Largo San Vito, vendeva nastrini di color giallo o rosso che si compravano a devozione di San Vito e si legavano ai finimenti o alla criniera del cavallo o dell’asino.

Nessuno dalla fiera se ne tornava a mani vuote. Tutti compravano qualcosa di utile per la casa o il lavoro o per semplice devozione. I mercanti del bestiame da soma o da ingrasso o da cortile, gli artigiani e gli zingari che avevano venduto quanto necessario per i finimenti degli animali da lavoro o per il lavoro nei campi smontavano ogni masserizia o baracca ritornando nei loro paesi o masserie. Non si andava via senza ancora una volta aver attinto con il secchio un po’ di acqua dal pozzo di San Vito, acqua che serviva per abbeverare gli animali e per riempire le borracce o gli “ramili”2 per dissetarsi lungo la strada o per portarla a casa, quale prolungamento della devozione e della benedizione di San Vito.
Verso la metà del secolo scorso la Fiera ha perduto l’antica importanza ed è stata ridotta a un semplice mercato. Ancora oggi la Fiera viene aperta simbolicamente il sabato mattina, vigilia della Festa.

Il sindaco, gli amministratori, le autorità civili e religiose preceduti dal gonfalone partono dal palazzo municipale e si recano a Largo San Vito, accompagnati dalla banda. Qui, al suono dell’Inno Nazionale, viene issata la bandiera tricolore in cima alla facciata della chiesa dando così ufficialmente inizio alla fiera – mercato.
In realtà la fiera si svolge solo la domenica mattina: quasi tutti gli abitanti di Lequile e molta gente dei paesi vicini si reca al mercato e gira attraverso le numerosissime baracche dei commercianti che espongono in modo più abbondante quelle mercanzie che troviamo nei comuni mercati settimanali. Si conserva comunque una tradizione e… un buon giro d’affari.

1 “L’Università di questa terra di Lequile, e per essa Pasquale Lezzi, suo attuale secondo eletto, ritrovandosi assenti il Sig. Sindaco e primo Eletto di essa, supplicando espone, come dovendosi sollennizzare la festa del Glorioso nostro Protettore S. Vito, da essa Università in pubblico Parlamento, secondo il ius, e Costume di essa si sono elette tre persone, cioè il Sig. Angelo Cascione, Carlo Domenico Teodoro, e Notar Vito Giancane, acciò uno di essi doves se esser Mastro del Mercato per li otto giorni della Fiera in detta Festa, et aspettando a V. E. la nomina di uno di detti tre, umilmente la supplica di essa, e l’haverà, ut Deus. + Segno di Croce di propria mano di Pasquale Lezzi secondo Eletto, S. N. ut dixit. Luogo del Sigillo dell’Università di Lequile. Orontio Guido Cancell. Ita est Notarius Vitus Antonius Giancane (retro) Die 16 Mens juni 1736 electus fuit in Magistrum Nundinarum (= maestro di mercato), M. cus Carulus Theodoro, traditis litteris patentalibus in f. (Archivio di Stato – Lecce).
2 Recipiente di terracotta, panciuto alla base e dal collo stretto, con due asole. I contadini li riempivano d’acqua fresca e li portavano al lavoro per dissetarsi di tanto in tanto durante le afose giornate d’estate. Per conservare l’acqua al fresco, il recipiente veniva interrato fino all’orlo.

Ultimo aggiornamento

30 Luglio 2011, 17:09

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